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Dario Gedolaro

Qualche settimana fa ho scritto che il Coronavirus Covid 19, ha riportato in primo piano il problema del dumping fiscale all’ interno della Ue, in seguito alle polemiche suscitate dalla richiesta di FCA di un prestito di 6,3 miliardi garantito dallo Stato. Su questo tema viene a fagiolo un’ iniziativa di PiùEuropa, che cito non  per fare propaganda politica a chicchesia, ma perché dimostra come la questione sia tutt’ altro che marginale.

Emma Bonino

PiùEuropa, movimento che nasce sulle ceneri del vecchio Partito Radicale (e infatti è presieduto da Emma Bonino), ma che ha cambiato in buona parte pelle avendo  accolto forze liberali, cattoliche (uno dei suoi leader è l’ ex  democristiano Tabacci) e convintamente europeiste (d’ altronde il nome esprime chiaramente l’ orientamento del partito), ha lanciato una petizione ai parlamentari europei con relativa raccolta di firme online proprio per “porre rimedio ai fenomeni di concorrenza fiscale sleale tra i Paesi membri dell’Ue”.

Le motivazioni che dà chiariscono molto bene la questione: “Il dibattito sollevato qualche settimana fa dalla richiesta di accesso al prestito con garanzia pubblica da parte di Fiat-Chrysler Automobiles Italy – scrive PiùEuropa – ha riportato sul tavolo il tema della concorrenza fiscale tra stati europei. Il ragionamento che molti hanno fatto è stato: FCA ha scelto di essere una società di diritto olandese, perché dovremmo sostenere i suoi debiti con la garanzia pubblica italiana? In realtà, FCA Italy paga le tasse in Italia, ha un fatturato di circa 25 miliardi e un costo del personale in Italia superiore a 3 miliardi. Dunque, FCA Italy ha diritto alle condizioni previste dal cosiddetto “decreto liquidità”. Altri hanno comunque sottolineato come la holding (che ha come “business” i dividendi delle varie partecipate) dreni risorse alle società controllate attive nei diversi Paesi e dunque sottragga base imponibile e gettito all’Italia. Da qui, l’accusa ormai sempre più frequente ai Paesi Bassi di essere un “paradiso fiscale” intra-europeo. È proprio così?”

“Tecnicamente – spiega ancora PiùEuropa – i Paesi Bassi non sono un paradiso fiscale: non rientrano in nessuno dei

Olanda

parametri dei cosiddetti “tax havens” monitorati dalla UE e hanno una tassazione del reddito dal lavoro dipendente assolutamente allineata con i Paesi del Nord Europa (peraltro aggravata dall’obbligo di assicurazione medica per i residenti). La cattiva reputazione dell’Olanda, come di altri paesi Ue, deriva essenzialmente dal regime di tassazione delle grandi imprese e dal relativo diritto societario, che, nonostante le evoluzioni degli ultimi anni, continua a offrire inequivocabili vantaggi per la domiciliazione delle sedi di grandi compagnie multinazionali”.

Ma è davvero un problema olandese o è forse anche responsabilità di quei Paesi che non riescono a offrire soluzioni altrettanto attraenti? “Bisogna tutti essere consapevoli – prosegue +Europa – che le tante proposte di armonizzazione del fisco per le imprese in Europa non si tradurrebbero mai nell’adozione dell’inferno fiscale italiano da parte di altri Paesi. Semmai, dovrebbe essere l’Italia ad alleggerire le sue pretese e semplificare le sue procedure. D’altra parte, è anche evidente che le differenze molto marcate tra gli ordinamenti fiscali nazionali in materia di tassazione del reddito d’impresa rappresentano da decenni un ostacolo alla piena integrazione del mercato unico europeo. Quando poi si entra nel vivo del confronto sugli strumenti fiscali da adottare per l’emergenza sanitaria e il contrasto della crisi economica in atto, l’accusa all’Olanda di sottrarre gettito fiscale (all’Italia, ma anche a Francia, Germania e altri Paesi) fa il paio con la ritrosia olandese a una maggiore solidarietà con i Paesi più indisciplinati dal punto di vista finanziario e esosi dal punto di vista fiscale”.

Gli interventi finora compiuti in ambito europeo, in termini normativi e giurisprudenziali, hanno corretto alcune storture (soprattutto riguardo alle imposte indirette). Tuttavia, “l’evoluzione tecnologica e l’assenza di barriere alla libertà di circolazione dei capitali e di stabilimento nel territorio dell’Unione incentivano sempre più lo sfruttamento di vantaggi fiscali in un ordinamento o in un altro, l’arbitraggio normativo e l’erosione della base imponibile. Tutto questo non solo crea tensioni politiche tra Paesi e opinioni pubbliche, ma contribuisce a ridurre la trasparenza dei sistemi fiscali e avvantaggia le imprese più grandi rispetto alle imprese di dimensioni minori, nonché le aziende dei settori immateriali rispetto ai comparti più tradizionali”.

E Più Europa avanza una proposta realistica per ovviare all’ attuale situazione, salvaguardando “un certo grado di competizione fiscale tra gli Stati”, coem avviene negli Usa, ritenedolo “è un positivo fattore di efficienza politico-amministrativa e di moderazione delle pretese fiscali nei confronti dei contribuenti”.

Dunque, per superare l’indisponibilità dei Paesi a tassazione più bassa (che vedono ogni forma di uniformazione come una richiesta di aumento del carico fiscale e dunque di riduzione di competitività), “una via mediana può essere l’adozione di una base imponibile per il reddito d’impresa determinata secondo regole comuni europee, che si sostituirebbero alle regole nazionali. Ai singoli Stati resterebbe la piena libertà di determinare le aliquote di imposta, lasciando dunque in piedi un modello competitivo, trasparente e uniforme, che premia i Paesi capaci di tenere basse le imposte senza però creare fenomeni distorsivi ed elusivi sulle basi imponibili”. Giusta anche la sottolineatura finale:  “Demonizzare i sistemi fiscali altrui, dal pulpito di un Paese ad alta tassazione e a spesa inefficiente, non serve a molto”.

 

Author: Carola Vai

Laureata in Lingue e Letterature straniere, giornalista e scrittrice. Ha lavorato in varie testate tra le quali: “la Gazzetta del Popolo”, “La Stampa”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Giornale” di Montanelli. Passata all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) dal 1988 al 2010, è diventata responsabile della redazione regionale Piemonte-Valle d’Aosta. Relatrice e moderatore in convegni in Italia e all’estero; Consigliere dell’Ordine Giornalisti del Piemonte fino al 2010, poi componente del consiglio di amministrazione della Casagit (Cassa Autonoma Assistenza dei Giornalisti Italiani) dove attualmente è sindaco effettivo. Tra i libri scritti “Torino alluvione 2000 – Per non dimenticare” (Alpi Editrice); “Evita – regina della comunicazione” (CDG, Roma ); “In politica se vuoi un amico comprati un cane – Gli animali dei potenti” (Daniela Piazza Editore). "Rita Levi-Montalcini. Una donna Libera" Rubbettino Editore)