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Paola Claudia Scioli

( #italiaunicaqui ) – In un momento in cui possiamo considerarci un po’ tutti “santi alle finestre” e la nostra libertà di movimento è limitata dal coronavirus, una delle manifestazioni artistiche a portata di tutti sono i  ” paesi dipinti”,  minuscoli borghi  lontani dai classici itinerari turistici. Si tratta di case dipinte all’esterno. Perciò non occorre biglietto di ingresso, e sono diffuse in tutta Italia.   Spesso si tratta di borghi anonimi trasformati in gallerie d’arte a cielo aperto da artisti di diversa provenienza, realizzate tra angusti vicoli, scalinate e portali. Affreschi che raccontano di antichi mestieri, usanze e vita popolare, tradizioni religiose, favole per grandi e piccini.

Arcumeggia – il paese dipinto

Se ne contano circa duecento sparsi lungo tutta la penisola, ma potrebbero essere molti di più: da Satriano di Lucania (Potenza), gioiello dell’Appennino meridionale, a Orgosolo, in provincia di Nuoro, con i suoi 150 coloratissimi dipinti che decorano case, strade, piazze narrando di lotte popolari e arcaiche tradizioni pastorali. Dalla frazione di Prelà, comune di Valloria in provincia di Imperia, abitata da una cinquantina di persone e famosa per le sue porte dipinte, a Braccano, una frazione di Matelica (Macerata) nelle Marche, con i suoi coloratissimi murales realizzati dagli studenti delle Accademie di Belle Arti di Brera, Urbino e Macerata con artisti da tutto il mondo, fino a Rocca di Papa nel Lazio e a Diamante in Calabria.

E se è vero che l’abitudine di decorare le pareti esterne delle case con affreschi risale al Medioevo, che ci ha lasciato degli esempi magnifici, la tradizione dei “Paesi dipinti”, nelle forme attuali, risale al secondo dopo guerra. È nata, infatti, ad Arcumeggia in provincia di Varese, da dove ha avuto origine l’Associazione dei Paesi dipinti, con l’obiettivo principale di valorizzare e far conoscere queste realtà in modo sistematico. Arcumeggia, borgo arroccato sopra Casalzuigno (VA), di cui è una frazione con meno di cento abitanti, per la bellezza del paesaggio e delle architetture, è diventato un po’ il simbolo di quest’arte e sicuramente il paese dipinto più famoso. Nel 1956 la località fu scelta dall’allora Ente Provinciale del Turismo di Varese come sede della manifestazione “Pittori in vacanza”. Ed ha richiamato artisti rappresentativi del pensiero e delle maggiori tendenze italiane della metà del ‘900, unite principalmente tra loro dalla comune finalità di riproporre l’importanza dell’arte figurativa in contrapposizione agli esiti avanguardisti dei primi decenni del secolo, che avevano portato alla disgregazione delle forme e ad una produzione pittorica astratta e informale. Arcumeggia si è guadagnata così il titolo di prima “Galleria all’aperto dell’affresco”. E tra la fine degli anni cinquanta e il 1970 numerosi pittori contemporanei passarono da qui per lasciare una loro opera sui muri delle case, raccogliendo grande consenso da parte dei residenti: immagini relative alla vita quotidiana o religiosa, ai mestieri locali, all’emigrazione, al paesaggio naturale. Per lavorare gli artisti sono stati ospitati nella Casa del Pittore, visitabile, all’interno della quale sono custodite diverse opere tra formelle, dipinti, cartoni preparatori e schizzi su carta, che testimoniano il passaggio e il lavoro dei pittori. Interessanti sono poi i cortili che ancora oggi conservano testimonianza dei corsi estivi di affresco tenutisi ad Arcumeggia fin dal 1961 e che hanno visto la partecipazione di giovani provenienti dalle accademie d’arte di tutta Italia. Studenti a cui è dedicata la “Via degli Allievi”. Singolare è poi il sagrato della chiesa di sant’Ambrogio, dove si possono ammirare gli affreschi delle 14 stazioni della Via Crucis.

Canale (BL) – Affresco di Dunio Piccolin di fronte Palazzo delle Regole

Non solo la Lombardia è stato un terreno fertile per il proliferare dei Paesi dipinti. Sempre nelle zone alpine, ma a Est dell’Italia, si trovano molte case dipinte nella Valle del Biois, in provincia di Belluno. Una passeggiata nel centro di Falcade fa scoprire alcune espressioni artistiche e architettoniche dell’antica tradizione locale. Qui gli affreschi, sempre a tema religioso (i santi e le loro vite), sono stati commissionati tra 1600 e 1800 dalle famiglie locali come ex voto o per chiedere protezione da malattie e pestilenze e sono stati realizzati spesso da artisti di passaggio sui muri delle abitazioni in cambio di ristoro e ospitalità. Recuperati e restaurati nel corso degli anni, recentemente per valorizzarli è stato creato un vero e proprio percorso di visita. Guida straordinaria è Dunio Piccolin, giovane artista locale che mantiene viva l’antica tradizione dei “Santi alle finestre” continuando a dipingere le pareti delle case e raccontando con le immagini storie di vita vissuta che altrimenti andrebbero perse. Così a Palue di Rocca Pietore, minuscolo borgo dell’agordino distrutto dalla tempesta Vaia del 2018, ha realizzato un graffito di 10 mq che racconta una giornata di vita “normale” in paese. A Canale d’Agordo, nella piazzetta dove già ci sono gli affreschi seicenteschi della “Casa delle Regole” e quelli del ciclo pittorico del Maestro Giuliano De Rocco, ha dipinto un affresco sulla vita del paese secondo le antiche tradizioni.

Santangelo (Viterbo) Cenerentola

Un altro borgo dipinto si trova sulle colline bolognesi: Dozza, dove la tradizione dei murales risale alla prima Biennale del Muro Dipinto del 1965. Da allora, ogni due anni nei weekend di settembre, il borgo medievale accoglie artisti di tutto il mondo che lo colorano con illustrazioni del passato, immagini di draghi e fate, paesaggi e visioni astratte. Il borgo antico, a forma di fuso, è dominato dalla Rocca Sforzesca, struttura medievale integrata con il resto dell’abitato. La fortezza, voluta da Caterina Sforza che adattò e ampliò una precedente fortezza nel XV secolo, abitata dalla famiglia Malvezzi-Campeggi fino al 1960, ospita ora nei sotterranei l’Enoteca Regionale.

Altro esempio di murales è quello di Sant’Angelo di Roccalvecce, paesino della valle Tiberina in provincia di Viterbo, a pochi passi da Celleno http://www.viavaiblog.it/celleno-borgo-fantasma-nella-tuscia-viterbese/ , il paese fantasma, al quale è idealmente collegato, oltre che dalla tradizione della coltivazione dei ciliegi, dal “Sentiero dei castelli e delle fiabe“, realizzato negli ultimi anni per valorizzare questo territorio dimenticato. Sant’Angelo non ha monumenti di interesse ed è difficile persino trovare delle notizie storiche su internet, a differenza della “dirimpettaia” Roccalvecce, che può vantare il Castello Costaguti. Tuttavia, dal 2016, grazie all’iniziativa di privati cittadini, è diventato la testimonianza di come la fantasia e l’ingegno, attraverso la mediazione dell’arte, possano restituire valore a ciò che è stato per lungo tempo dimenticato. Le più belle favole che hanno sempre incantato i bambini di tutto il mondo sono state dipinte sui muri delle case, animando  le piazze, le vie, i vicoli un tempo desolati.


Santangelo (Viterbo) Biancaneve e i sette nani

Da Alice nel paese delle meraviglie, con tanto di Cappellaio Matto, Bianconiglio, Regina di Cuori e Stregatto, ad Hansel e Gretel; dalla Bella addormentata nel bosco ad Alì Babà e i quaranta ladroni. E ancora: Pinocchio, Biancaneve, i quattro musicanti di Brema, il libro della giungla, Peter Pan, il piccolo principe, le fate di Avalon, la piccola fiammiferaia, il brutto anatroccolo, la bella addormentata nel bosco, gli gnomi dei Grimm e la bella e la bestia, che sembra avere una base storica riconducibile proprio a questa zona del viterbese. Secondo alcune fonti la “bestia” altri non sarebbe che un nobile spagnolo affetto da ipertricosi, appartenente alla corte di Enrico II di Francia il quale a seguito del suo matrimonio con una bellissima damigella della regina Caterina, e dopo diverse vicissitudini, si stabilì a Capodimonte, sul Lago di Bolsena, dove morì nel 1618.

Santangelo (Viterbo) il Il Paese delle favole

 

Author: Carola Vai

Laureata in Lingue e Letterature straniere, giornalista e scrittrice. Ha lavorato in varie testate tra le quali: “la Gazzetta del Popolo”, “La Stampa”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Giornale” di Montanelli. Passata all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) dal 1988 al 2010, è diventata responsabile della redazione regionale Piemonte-Valle d’Aosta. Relatrice e moderatore in convegni in Italia e all’estero; Consigliere dell’Ordine Giornalisti del Piemonte fino al 2010, poi componente del consiglio di amministrazione della Casagit (Cassa Autonoma Assistenza dei Giornalisti Italiani) dove attualmente è sindaco effettivo. Tra i libri scritti “Torino alluvione 2000 – Per non dimenticare” (Alpi Editrice); “Evita – regina della comunicazione” (CDG, Roma ); “In politica se vuoi un amico comprati un cane – Gli animali dei potenti” (Daniela Piazza Editore). "Rita Levi-Montalcini. Una donna Libera" Rubbettino Editore)