Dario Gedolaro
“Questa riforma non ha nulla a che fare con l’efficienza della giustizia”. Probabilmente ha ragione l’Associazione Nazionale Magistrati che ha così commentato (criticamente) l’approvazione definitiva da parte del Senato della legge “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”, il cui cuore è la separazione delle carriere tra i magistrati “giudicanti” e quelli “requirenti”, tra chi emette sentenze e i pubblici ministeri. La legge modifica il titolo IV della Costituzione per cui potrà essere sottoposta a referendum confermativo. Sono titolati a richiederlo un quinto dei membri di ciascuna Camera, cinque Consigli regionali o 500 mila elettori, ed è fuori discussione che le opposizioni – con posizioni differenziate per Azione e Italia Viva – attiveranno la procedura. Tuttavia anche nella maggioranza ci si prepara a richiedere la verifica popolare, sfidando le opposizioni sul loro terreno.Dario Gedolaro
Sconcerto ma anche imbarazzo e interrogativi, questo suscita il grave fatto di sangue di Milano, in cui un detenuto che godeva del permesso di lavorare fuori dal carcere ha ucciso una donna di origine dello Sri Lanka e ferito gravemente un collega di lavoro. Riesplode la polemica se sia giusto o no concedere certi benefici a chi sta scontando una pena detentiva per reati gravi e anche se le pene inflitte dai tribunali siano adeguate.Dario Gedolaro
Torna di attualità in Parlamento e sui mass media la separazione delle carriere dei magistrati: una corsia per i pubblici ministeri, l’altra per i giudici. Ed è un gran rimbombare di polemiche. La maggioranza dei magistrati è contraria, la maggioranza dei politici (il centro destra più i renziani) favorevole. Chi contrasta questa riforma agita lo spettro di pubblici ministeri al servizio della politica, cioè sotto il controllo del ministro della Giustizia (non si sa però sulla base di quale progetto di legge, visto che quello attualmente in discussione non lo prevede). Chi invece sostiene la separazione delle carriere pensa che essa favorirebbe giudizi più equi da parte dei Tribunali, meno condizionati da rapporti di “colleganza” e quindi di contiguità con i pubblici ministeri. Chi ha fatto esperienza di cronaca giudiziaria sa che il problema non è del tutto campato in aria. In alcuni casi, soprattutto in passato, è valso il criterio del “cane non morde cane”. Negli ultimi tempi sembra che – proprio da quando pende la spada di Damocle della separazione delle carriere – le Corti dimostrino più indipendenza di giudizio dai loro colleghi pubblici ministeri.


