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Pier Carlo Sommo

In questi giorni ritorna il dibattito sul servizio militare di Leva, abolito, anzi “sospeso” frettolosamente e malamente nel 2005. Il rischio di conflitti  in Europa è tornato.  “Si vis pacem, para bellum” è un’antica saggia locuzione latina che si traduce con “Se vuoi la pace, prepara la guerra“. Significa, pragmaticamente, che per garantire la pace è fondamentale essere preparati e armati per potersi difendere da eventuali minacce. Anche se in forme e regole diverse la Leva dovrà essere  ripristinata, piaccia o non piaccia a qualcuno.

Pier Carlo Sommo in servizio militare (1976)

Purtroppo la storia ha dimostrato che la pace è un periodo di tempo variabile tra due guerre. Il pacifismo è pressoché pura utopia, spesso utilizzata come propaganda da una delle due parti in contenzioso, per minare il morale dell’altra parte. I militari di carriera, di un paese democratico come il nostro, non sono guerrafondai, come dipinti dal pacifismo più becero, ma sentinelle della pace. I pompieri non amano il fuoco, ma lo combattono, ugualmente i soldati non amano la guerra, ma sono lo strumento per evitarla.

Io ho prestato servizio militare negli Alpini, (Sergente cpl  f. (alp) del 46° Corso ACS SMALP, congedato dalla Compagnia C/C  Taurinense. Le “penne nere) hanno uno che spirito conferma la necessità di “sentinelle armate” della pace. Sono militari particolari, in pace e in guerra. Speciali, eclettici, abili e affabili in pace, quanto efficienti e temibili in guerra.  Gente che fa il suo dovere sempre, in ogni e a suo modo.  Di regola severi ed essenziali, come le montagne da cui vengono o cui s’ispirano quando il Corpo li adotta. Eroi quando è necessario, senza fanatismo, intimamente staccati da miti e retoriche.

La leggenda che a volte li circonda, è un po’ eccessiva, in genere è stata costruita lontano dai campi di battaglia e, spesso, con un po’ di fantasia. La testimonianza è nelle pompose e liriche motivazioni delle Medaglie d’Oro, che immancabilmente si chiudono con frasi del tipo: “Cadde colpito a morte dopo fulminea lotta, soverchiato dal numero, ma avendo vinto la inesorabilità del fato con la bellezza del suo sacrificio;Circondato dai nemici, rifiutava dì arrendersi, finché colpito a morte esalava sul campo la sua anima eroica”; “Fulgido esempio di valore, di abnegazione e di elevatissimo sentimento del dovere, spinto sino al sacrificio.”; “Simbolo puro del dovere, fulgido eroe dell’idea, martire generoso delle barbarie. L’anima è in cielo, la memoria nel cuore degli italiani degni del nome della Patria.”; (sono tutte frasi tratte da autentiche motivazioni).

Il libro di Paolo Monelli e Giuseppe Novello “La guerra è bella mas comoda”

Mi ha sempre colpito poi, una frase che è attribuita ad un Alpino Medaglia d’Oro, a cui era dedicata una delle caserme dove ho prestato servizio: “Una raffica lo colpiva a morte, esalava la sua anima generosa di Eroe gridando “Non importa, Viva l’Italia”. A vent’anni, appena arruolato, mi chiedevo ma l’avrà poi pronunciata davvero questa frase? Gli Alpini la pelle la rischiano, però ci tengono molto, quel “non importa”, senza togliere nulla all’atto eroico, l’ho sempre trovato un po’ eccessivo, anche per chi aveva fatto il suo dovere fino all’estremo.

Tali motivazioni poetiche ed un po’ irreali, spesso sono state inventate a tavolino, da scrivani del Ministero della Guerra, che probabilmente mai avevano visto una battaglia, forse per quello erano così lirici e produttivi di una prosa che a volte, se non si riferisse ad autentici eroi caduti, rasenterebbe il ridicolo.  Sono certo che gli Alpini cui sono dedicate, potessero commentarle, farebbero solo una risata e una battuta in dialetto. La guerra con distruzioni e morte è poco poetica, “Bella ma scomoda” la definirono con sarcastica ironia e disegni satirici gli Alpini Paolo Monelli e Giuseppe Novello in un famoso testo illustrato.

Agli autentici “veci” che ho conosciuto, reduci dai vari fronti di guerra, alcuni decorati delle massime onorificenze, non calzano queste motivazioni ministeriali. Li immagino sul campo di battaglia con la sanguigna naturale forza e rabbia di chi si difende o attacca, armati di vigore o disperazione, ma senza gli accenti poetici, quasi caricaturali.

Mi ricordo alcuni reduci della ritirata di Russia, conosciuti anni addietro, mi raccontavano dei loro commilitoni passati dal sonno alla morte, dopo le notti trascorse a quaranta gradi sotto zero. La loro disperata eroica forza l’avevano trovata nella voglia di vivere e tornare “a baita”.  Tante sono le vere testimonianze di vita e realtà, belle anche senza aggiungere superflua retorica.

Distintivo del Battaglione Alpino Susa

Per avvicinarci ai nostri giorni, qualche anno fa ho dovuto fare una lezioncina di storia a uno dei nuovi Alpini di carriera che si era permesso una battuta sulle qualità militari di chi ha fatto la Leva.

Gli ho brevemente spiegato che la Leva è durata 145 anni, a partire dal 1861. Il 95% dei caduti di tutte le guerre è tra le file dei “complementi”. Se i “permanenti” di oggi hanno la divisa e gli strumenti adeguati per difendere uno stato democratico e libero lo devono anche ai najoni che, anche nel periodo della Guerra Fredda, dal 1945 al 2005 hanno garantito la sicurezza e democrazia di questo Paese. Hanno dato al Paese, secondo i periodi, da un anno a due della loro gioventù.

Distintivo della Compagnia Controcarri Taurinense

Gli equipaggiamenti non erano sempre i migliori, ma ugualmente si sono validamente addestrati. Nelle scuole militari, alla SMALP degli Alpini o alla SMIPAR della Folgore non si oziava né si scherzava, il distintivo da parà, la stellina di sottotenente e il baffo d’oro da sergente non lo regalavano. Reparti “operativi” come il “Battaglione Susa” o la “Controcarri Taurinense” lo erano per davvero, stimati rispettati anche dagli alleati della NATO. Indubbiamente c’era qualche figlio di papà e “imboscato”, ma erano tanti di più quelli che facevano il loro dovere.

Dal 1946 al 2005 i ragazzi di Leva sono stati presenti e attivi in terremoti, alluvioni, calamità, ordine pubblico ed emergenze varie. Hanno avuto anche caduti, molti per incidenti e cause di servizio ma anche in azioni belliche come in Alto Adige, Libano e Somalia. La Cortina di Ferro non è scomparsa, si è solo spostata, ma fino al 1989  tanti di noi avevano la cartolina di pre-chiamata in un cassetto e la divisa nell’armadio, perché non sapevano se un giorno sarebbero partiti per fermare un’invasione su quella che si chiamava la “Soglia di Gorizia”.

Scuola militare Alpina – Addestramento al tiro

Molti l’hanno dimenticato, ma noi “najoni” abbiamo fatto quel che si doveva fare, se era necessario andare in guerra ci saremmo andati, e avremmo fatto il nostro dovere, senza toni retorici, smoccolando e lamentandoci come al solito, come padri, nonni e bisnonni.

Comunque, quel ragazzo in “servizio permanente effettivo”, che dubitava delle doti guerresche dei “najoni”, da buon Alpino, un po’ mortificato, mi ha chiesto scusa, e ha guardato con occhi diversi noi “complementi” in congedo definitivo.

Ora il mondo è cambiato, sono cambiati fronti, armi e potenziali amici o nemici, ma è necessario guardare al futuro rammentando il passato con concretezza, senza miti e retorica.   È indispensabile  ricordare alle nuove generazioni l’esempio di quei militari di Leva, che hanno servito questo Paese in pace ed in guerra. Da quelli che, senza medaglie, premi o menzioni, hanno fatto il loro dovere e non sono tornati, ricordati solo da un nome su una lapide di uno sperduto comune, a quelli “tornati a baita” silenziosamente, che hanno ripreso la vita civile conservando i valori della vituperata subito, ma poi amata e ricordata, con la nostalgia del vent’anni, “naja alpina”.

 

 

“Il soldato prega più di tutti gli altri per la pace, perché è lui che deve patire e portare le ferite e le cicatrici più profonde della guerra.”

                                                                                                                                                                                                         (Gen. Douglas Mc Arthur)

Author: Pier Carlo Sommo

Torinese, Laureato in Giurisprudenza, Master in comunicazione pubblica e Giornalista professionista. Dal 1978 si occupa di comunicazione e informazione nella pubblica amministrazione. Ha iniziato la carriera professionale presso la Confindustria Piemonte. Dopo un periodo presso l'Ufficio Studi e Legislativo della Presidenza della Regione Piemonte nel 1986 è diventato Vice Capo di Gabinetto e Responsabile Relazioni Esterne della Provincia di Torino Dal 1999 al 2020 è stato Direttore delle Relazioni Esterne e Capo Ufficio Stampa dell'ASL Città di Torino. Autore di saggi, articoli e ricerche, ha pubblicato numerosi volumi e opuscoli dedicati alla comunicazione culturale - turistica del territorio. È docente in corsi e seminari sui problemi della comunicazione e informazione presso le società di formazione pubbliche e private . Professore a contratto di Comunicazione Pubblica presso l'Università di Torino e Università Cattolica. embro del Direttivo del Club di Comunicazione d'Impresa dell’Unione Industriale di Torino, dal 2005 al 2008 è stato Vice Presidente. Presidente del Comitato scientifico di OCIP Confindustria Piemonte Membro del Comitato Promotore dell' Associazione PA Social, È stato Segretario Generale Nazionale dell'Associazione Comunicazione Pubblica e Istituzionale dal 2013 al 2020.