Pier Carlo Sommo

Il prossimo anno l’abbazia Benedettina dei Santi Pietro e Andrea della Novalesa (Torino) compie 1300 anni. Le antiche cronache dicono, con inconsueta precisione testimoniata dall’atto di fondazione conservato presso l’Archivio di Stato di Torino, che il 30 gennaio 726 il patrizio Abbone, che governava le valli della Dora e dell’Arc, fece edificare nella Val di Susa, a Novalesa nella valle Cenischia, un monastero che affidò ai monaci Benedettini detti della “Regula mixta”. Il cenobio, sull’antico e importantissimo percorso che valicava il Moncenisio, via poi abbandonata in epoca napoleonica con la costruzione dell’attuale strada. I cospicui lasciti del testamento di Abbone del 739, che era stato rettore di Susa e Maurienne, portarono ai Benedettini possedimenti e notevoli ricchezze. Il complesso abbaziale che vediamo oggi è però il risultato finale di un lungo e laborioso e complesso processo che nel corso dei tempi, per eventi più o meno felici, vide più volte modifiche e ampliamenti.

Tra I’VIII e il X secolo, il Cenobio fu un importante punto di riferimento della Cristianità, a Novalesa si recavano a pregare e studiare molti giovani e chierici di Francia, Piemonte e Liguria.
L’imperatore Carlo Magno soggiornò presso la Novalesa nel 773 prima della battaglia della Chiusa, avvenuta nelle vicinanze, fu grande amico dell’abate Frodoino che allora reggeva l’abbazia, un valente religioso che diede inizio ad una famosa scuola artistica, che produsse manoscritti, codici miniati e opere di pregevole fattura nei campi pittorici e dell’oreficeria. Con Carlo Magno iniziò il periodo d’oro della Novalesa che giunse ad avere fino a circa 500 monaci.

Il monastero di Novalesa conobbe i suoi momenti migliori sotto la reggenza di Eldrado, un abate del IX secolo poi elevato a Santo, a lui fu dedicata una cappella affrescata che ancora oggi possiamo ammirare tra i reperti più preziosi del complesso. Sotto il governo di Eldrado il Cenobio divenne un grande centro di incontri tra dotti e sapienti di teologia, grazie anche all’illuminata guida del grande amanuense Atteperto che realizzò uno splendido “Evangelario“. Nel monastero fu istituita una ricca e preziosa biblioteca, considerata monumento del sapere medioevale. I Benedettini, secondo la loro tradizione, non svolgevano solo attività culturali, ma realizzarono importanti lavori di bonifica e coltura delle terre, dando nuovo impulso all’agricoltura e all’allevamento, entrati in crisi dopo le invasioni dei Barbari, tra il V e I’VIII secolo. Vasto ed eccezionale fu il ruolo di civilizzazione e d’apostolato cristiano che i monaci di Novalesa praticarono in un’ampia area geografica, che giungeva sino a Marsiglia e alla Liguria occidentale.

Sotto il governo dell’abate Donniverto, apparvero i Saraceni provenienti dalla Provenza, essi arrivarono fino a Novalesa verso primi anni del X secolo. Purtroppo l’eccessiva ricchezza li aveva attratti. L’abate Donniverto, portò in salvo i suoi monaci, molti arredi sacri, reliquie e libri nella più sicura Torino; il monastero rimase in balia degli infedeli e fu quasi totalmente distrutto. Adalberto, padre di Berengario II, marchese d’Ivrea e poi re d’Italia, offrì loro una nuova dimora a Breme in Lomellina. Ciò che rimaneva dell’abbazia fu abbandonato per lungo tempo, poiché le scorrerie dei saraceni sulle Alpi durarono quasi cinquant’anni. Tornati tempi migliori l’abate Gezone, da Breme inviò un gruppo di monaci per la ricostruzione di Novalesa. L’abbazia risorse nell’XI secolo. Un monaco scrittore, nella sua Cronaca del cenobio, redatta verso l’ XI sec., ha narrato il periodo della rinascita di S. Pietro, dei restauri alle cappelle e della riconsacrazione del luogo per opera del vescovo Tommaso di Ventimiglia. Gli oggetti sacri dispersi ritornarono nel cenobio e i Benedettini ripresero a vegliare sulla strada, ora sicura, del Moncenisio dove essi avevano un Ospizio.
Il cenobio di S. Pietro di Novalesa riprese vitalità come Priorato dipendente da Breme, detto capo primo o antico, ad indicare che da quel luogo aveva avuto origine la prestigiosa storia dei monaci, cacciati dalla violenza saracena. La biblioteca, purtroppo fu solo parzialmente recuperata; una discreta scuola pittorica giunse a narrare nelle cappelle le vicende dei grandi abati dei secoli di splendore. Lentamente si recuperarono molti dei diritti che i monaci avevano perduto durante l’abbandono, inoltre si ridiede vigore al culto nelle terre di tradizionale influenza.
Dopo questo rinnovato splendore, nonostante la protezione di Papi e Imperatori, l’abbazia di Novalesa iniziò un lento declino dal XIII secolo, a causa di una lunga serie di controversie territoriali con famiglie signorili e feudali, con vescovi o singole città. L’indipendenza del cenobio novaliciense nei riguardi di Breme s’andò accentuando, causando un lungo e aspro dissidio che terminò con il distacco definitivo dal monastero di Breme.

Verso la fine del XV secolo come accadde per altre abbazie, si ricorse al sistema giuridico della “commenda“, con cui si affidava, il cenobio ad una famiglia potente, di laici od ecclesiastici, destinata a reggere l’organismo religioso sotto l’aspetto dinastico. Il cenobio fu “affidato” ai Provana, signori di Leyni, dopo il 1470 furono i primi commendatari di Novalesa. Andrea Provana, che successe al primo commendatario Giorgio Provana morto nel 1502, fu sensibile ai gravi problemi di S. Pietro, che cercò di risolvere con il valido contributo del letterato archivista Pietro de Allavardo (1502-1512). Andrea Provana fu protonotaro apostolico, arcidiacono e canonico di Torino, operò con decisione precedendo a vari interventi sugli edifici del monastero e rivendicò gli antichi diritti usurpati da altre autorità.
Papa Clemente VIII, con una bolla del 1599, pose fine al sistema della commenda e restituì a Novalesa la figura dell’abate come reggente. Il primo abate fu Antonio Provana, che fu poi anche arcivescovo di Torino dal 1632 al 1642; l’ultimo fu Pietro Antonio Maria Sineo che morì nel 1796. Nel XVII secolo la congregazione della Novalesa era quasi estinta, rimanevano solo più tre benedettini, nel 1665, dopo novecento anni d’ininterrotta reggenza benedettina il cenobio fu affidato ad un altro ordine monastico, quello dei Cistercensi che tennero l’abbazia fino al 1802, anno della soppressione decretata dal governo napoleonico.

Più rigidi dei Benedettini della Regula mixta, i Cistercensi furono scelti nel tentativo di porre riparo ai danni arrecati alla Novalesa dal tempo e dall’incuria; più dei Benedettini questi monaci erano dediti al lavoro manuale, nella coltivazione di vigneti e frutteti all’allevamento del bestiame. Il nuovo Ordine non riuscì a mutare in meglio la condizione del Cenobio. Novalesa non trasse molto giovamento dall’opera cistercense e i nuovi monaci che, per mantenere in vita l’organismo loro affidato, dovettero spesso cedere o vendere oggetti d’arte e libri rari che erano giunti sino a loro dal passato.
Il nuovo percorso della strada che porta al valico del Moncenisio, danneggiò i valligiani di Novalesa, che con i loro muli e grande perizia avevano un piccolo monopolio del passaggio sul Moncenisio. L’abbazia fu privata di appezzamenti di terreno, espropriati dallo Stato per realizzare il moderno itinerario e dovette faticare per avere un indennizzo delle perdite subite. La soppressione napoleonica degli istituti religiosi trovò, di fatto, il monastero in grave degrado, con la biblioteca ormai privata completamente degli antichi manoscritti.

Con la restaurazione di Vittorio Emanuele I di Savoia, l’istituzione ritornò in vita unita all’Ospizio del Moncenisio, ma la bufera rivoluzionaria aveva cambiato troppe cose per cui sopravvisse a stento a se stessa fino all’avvento della legge Siccardi del 1855, che soppresse la congregazione e ne incamerò i beni. Il questa data finì la storia vera e propria dell’abbazia durata oltre dieci secoli: gli eventi successivi furono una serie di vicissitudini.
Per breve tempo fu sede di una casa di cura idrotermale di tale dott. Maffoni, fu in seguito acquistata nel 1870 dal Collegio Nazionale Umberto I e destinata a soggiorno estivo degli studenti, ma poi fu abbandonata a se stessa per molti anni.
Finalmente nel 1972 la Provincia di Torino acquistò l’abbazia e dette inizio a un lungo ciclo di restauri, ma di grande importanza fu la volontà di riportare i frati Benedettini, oggi subiacensi, della Congregazione veneziana di S. Giorgio Maggiore. Essi hanno riportato nell’abbazia la laboriosità intellettuale del loro Ordine, restaurano con passione antichi libri, pur svolgendo intensa attività religiosa conservando la plurisecolare coerenza con la loro regola.
Il monastero attuale è costituito da un nucleo centrale formato dalla chiesa abbaziale e dal chiostro e fabbricati annessi e da quattro cappelle staccate: S. Maria a nord e le altre tre, S. Michele, S. Salvatore e S. Eldrado a sud del nucleo principale. Lo schema generale conserva memoria dell’impianto originario, anche oggi nella struttura di due cappelle, S. Maria e S. Michele, si percepiscono le linee del sec. VIII, poco alterate dai rifacimenti successivi, che hanno invece inciso invece in maniera più profonda sulla chiesa e sugli edifici del chiostro. La visita oggi segue percorsi storico-artistici che si articolano nella visita alla chiesa abbaziale, alle cappelle nel parco e al museo archeologico.

La chiesa attuale è l’esito della ricostruzione che tra il 1709 e il 1719, progettata da Antonio Bertola, la pianta è a navata unica con quattro cappelle laterali. Aveva già subito due ricostruzioni, nelle quali furono mantenuti solo gli allineamenti principali e la posizione dell’altare e del coro. Le quattro cappelle che fanno corona al nucleo centrale dell’abbazia sono state oggetto nei secoli di interventi successivi, che ne hanno modificato l’aspetto originario, ma in misura minore di quanto avvenuto per gli altri edifici.
La cappella di S. Maria Maddalena, costruita nell’Vlll secolo all’ingresso del monastero, è a navata unica e con presbiterio quadrangolare, è stata più volte rimaneggiata. Nel presbiterio si conservano affreschi quattrocenteschi, che attestano la dedica medievale a S. Maria Maddalena. Simile, ma con proporzioni diverse, e più volte rimaneggiata la cappella di S. Michele, anch’essa del VIll secolo. La cappella di S. Eldrado fu costruita nei decenni iniziali dell’XI secolo sul luogo della cappella che poco dopo la metà del IX secolo aveva accolto la tomba del Santo abate, anch’essa a navata unica e presbiterio quadrangolare interamente affrescata. La cappella di S. Salvatore, non presenta tracce evidenti di un impianto più antico delle strutture attuali, poco più recenti di quelle di S. Eldrado. È certamente altomedievale la struttura quadrangolare alla quale si addossa, che è quanto rimane di una torre.
Gli scavi e i restauri al 1973 ad oggi sono stati occasione di ricerca e recupero, dal 2004 è attivo un interessante museo archeologico che ben illustra la lunga storia del cenobio. Nell’ ingresso del percorso vi è la sezione dedicata alla storia dell’abbazia, una parte è dedicata alla vita dei monaci. Nell’antico refettorio, nella manica meridionale, è ospitato il nucleo del museo archeologico. I materiali raccolti hanno evidenziato tracce di un insediamento nel sito precedente alla nascita del monastero, tra cui alcune stele funerarie, frammenti di sarcofago, capitelli, rocchi di colonne ed elementi architettonici. I reperti ceramici, coprono un arco cronologico esteso dal I sec. d.C. al XIX; ai pochi frammenti di età romana si unisce un nucleo di ceramiche riferibili al basso medioevo. L’alto medioevo è documentato da un gruppo di frammenti scultorei relativi in prevalenza all’arredo liturgico della chiesa abbaziale e alle modifiche strutturali che la interessarono nel corso dei secoli. Esposti anche frammenti di intonaci decorati rinvenuti durante gli scavi, unitamente agli affreschi sono ulteriori espressioni del grado di elaborazione artistica e culturale raggiunto dall’abbazia nel corso della sua storia.
L’Abbazia dei SS. Pietro e Andrea è per l’ennesima volta rinata e conserva il suo millenario fascino. Il monastero che fu un faro di luce spirituale e intellettuale per l’umanità, fra il VIII e il XII secolo della nostra era, vive ancora.
Dal 1972 tecnici e funzionari che si sono avvicendati all’Amministrazione Provinciale di Torino, ora Città Metropolitana, spiritualmente e materialmente affiancano i religiosi della Congregazione Subiacense Cassinese dell’Ordine di san Benedetto, nel custodire un patrimonio di cultura e civiltà che appartiene all’umanità intera.
INFO
L’Abbazia dei SS. Pietro e Andrea, Frazione S. Pietro, 4, Novalesa (Torino).
www.abbazianovalesa.org
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