Il più onesto è stato il segretario della Cgil, Maurizio Landini, che aveva promosso il referendum: “Non è una vittoria, il nostro obiettivo non l’abbiamo assolutamente raggiunto”. I suoi “imitatori” o seguaci (Schlein, Conte, Fratoianni, Bonelli) hanno invece esercitato lo sport preferito dai politici italiani: arrampicarsi sugli specchi. E così sono venute fuori considerazioni ridicole, come quella di Elly Schlein che parla di “14 milioni di votanti più che per Meloni”. Il Post la definisce “conclusione spericolata” o anche “spiegazioni deboli e contorte”. Anche perché la considerazione non corrisponde al vero.
Ai sì non si possono evidentemente assommare i no e, scrive ancora Il Post: “Il quesito che ha ottenuto il maggior numero di Sì è stato il primo, con 12,24 milioni di voti a favore, dunque neppure in questo caso la soglia minima indicata dal Pd è stata raggiunta, sia pur di poche decine di migliaia di voti”. Non ci sarebbe da soffermarsi sul particolare, non fosse che Elly si attacca ai numeri per mascherare lo smacco (solo 30% di votanti). Insomma il campo semi-largo (Pd, M5S e Avs) ammette di non aver centrato l’obiettivo quorum, ma non riconosce la sconfitta.
Peccato non la pensino così nemmeno nello stesso PD. Persino il cautissimo Stefano Bonaccini riconosce che “è necessario riflettere”. La minoranza del PD intanto scalpita (forse il verbo è eccessivo) o per lo meno rialza la testa ed ha deciso di riunirsi in fretta per valutare la situazione e presentare un qualche conto alla segretaria.
Comunque una sorpresa (il non raggiungimento del quorum non si può considerare tale) il referendum l’ha riservata: l’alto numero dei no (considerato che i contrari erano tutti per l’astensionismo) sul quesito riguardante la riduzione dei tempi per concedere la cittadinanza italiana a uno straniero. Alla proposta di ridurre da 10 a 5 gli anni necessari per ottenerla, i no hanno sfiorato il 35%, contro percentuali intorno al 10% negli altri quesiti. C’è da riflettere, anche perché i no sono stati superiori alla media nazionale in Basilicata, Abruzzo, Molise, Marche, Umbria, Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige.
Insomma, un quesito particolarmente indigesto per gli italiani. Evidentemente è un tema che genera riserve e paure e la classe dirigente di un Paese deve tenerne conto. Non si possono affrontare temi complessi (anche quelli del mercato del lavoro lo erano) con un si o un no in un referendum. Cioè usando l’accetta, invece del confronto e della mediazione politica.
Detto questo, come afferma il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, è ridicolo parlare di risultato referendario che mette “in gioco la democrazia”, come fa Landini: “E’ stata una battaglia politica legittima, ma fallita”, con il tentativo di fare “un regolamento di conti all’interno del centrosinistra da parte di uno schieramento più radicale che non aveva condiviso le norme su lavoro approvate dallo stesso Pd a guida Renzi”. Un regolamento di conti e un tentativo di “dare una spallata al governo su alcuni temi”.
L’ opposizione avrà 12 milioni di seguaci – come dice la Schlein – riempie qualche volta le piazze, “ma non convince la grande maggioranza degli italiani. Se una riflessione si può fare è che il tentativo di spostare più a sinistra il suo baricentro non la rende forza di governo. Anche perché nello stesso Pd c’è una parte che non si riconosce nelle parole d’ordine della Cgil e del M5S”.