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Paola Claudia Scioli

Mezzano (Trento), piccola località a un soffio da Fiera di Primiero e da San Martino di Castrozza, è una delle destinazioni ideali in Italia per trascorrere in sicurezza e relax una vacanza in camper ai tempi del Coronavirus. L’area di sosta attrezzata “Arca”, con 18 piazzole immerse nel verde, garantisce il distanziamento sociale, ma anche la possibilità di ammirare lo spettacolare anfiteatro delle Pale di San Martino illuminate dal sole alle loro spalle.

Mezzano (Trento)

 Mezzano, 1600 abitanti circa, a 640 metri s.l.m., ha saputo trasformare le tradizioni in un’attrazione senza tempo. Recupero dell’architettura rurale, realizzazione di orti al posto dei giardini in gara tra loro per bellezza e produttività, cataste di legna diventate arte. Ma anche la riscoperta di antiche produzioni artigianali, l’apertura al pubblico delle malghe, la valorizzazione dei sentieri e dei percorsi di trekking o per mountain bike tra boschi e montagne, e soprattutto il coinvolgimento della popolazione anziana nel racconto del territorio e delle sue tradizioni. Tutto questo ha contribuito alla creazione della Mezzano Romantica, con una sua identità culturale e molte iniziative delle quali purtroppo solo poche saranno realizzate quest’anno a causa del Coronavirus. Una miniera di idee che si offrono al visitatore lungo i vicoli, nelle piazzette, all’ombra dei ballatoi in un museo a cielo aperto.

Sembra tutto raccolto e a portata di mano, anzi di piede, ma i percorsi ideali che si possono fare a Mezzano sono

Mezzano catasta “Il bosco vecchio”

almeno cinque. Uno di questi è dedicato all’acqua, e conduce alla scoperta delle numerose fontane del paese, dei lavatoi e delle lisiere (lavanderie), delle roste (canali d’irrigazione), dei resti di mulini e segherie e degli stoli, termine di origine tedesca che indica i piccoli acquedotti in cunicolo pensati per trasportare l’acqua in paese al coperto, al riparo da contaminazioni. A Mezzano se ne conservano ben tre, perfettamente restaurati e visitabili. Abbassandosi un po’ è possibile risalire all’interno delle gallerie – ora illuminate – fino alla fonte.

Sparse qua e là, si trovano anche numerose fontane, trasformate in fioriere, importanti nel passato per l’approvvigionamento di acqua a uso domestico e per abbeverare il bestiame.  E i tabià, le vecchie stalle o fienili in disuso riconvertiti in musei delle tradizioni locali.

La Sedia Rossa

Passeggiando per il paese, ci si imbatte anche in lavatoi e nella storica lisièra. Qui si produceva il sapone, lasciando bollire in pentoloni acqua e cenere cui si aggiungevano le bucce di limone per dare un po’ di profumazione. Il bucato in lisiera si faceva due volte l’anno, ai cambi di stagione, e richiedeva parecchio tempo, perché i panni si lavavano prima a casa, poi si lasciavano a bagno per una notte e poi si lavavano nuovamente e si risciacquavano con acqua corrente. I rituali erano rigidi, e precise le gerarchie. I lavatoi erano infatti anche luoghi di incontro e di socialità. A raccontarlo sono spesso anziane signore sedute sulle seggiole rosse impagliate. L’iniziativa ha dato un ruolo a quella parte della popolazione che si sentiva trascurata dalla trasformazione dei tempi moderni . E così capita che nella stagione estiva passeggiando per il paese e imbattendosi in una sedia rossa parcheggiata per strada, si suoni una campanella e come d’incanto si materializza un abitante del paese che, orgoglioso di poter intrattenere gli ospiti, risponde a domande, racconta la storia del luogo, svela curiosità e aneddoti, indica dove trovare prodotti tipici e sentieri diretti a malghe e rifugi. Inoltre numerosi orti, grandi e piccoli, recintati e non, offrono un caratteristico spettacolo di colori. Se ne contano circa 250. Partiti da un’esigenza di produzione di cibo per la famiglia, rispettano la tradizione trentina che tra le staccionate dell’orto sposa l’utile al dilettevole spartendo la terra tra ortaggi, fiori, odori, piante da frutto e viti rampicanti. Orti-giardino privati ma con una funzione di abbellimento del borgo e, quindi, utili per la comunità.

Affreschi di carattere religioso ornano spesso le pareti delle case soprattutto dove passavano le processioni. Le

Telaio ARTELER

pitture, segno di devozione (e a volte ex-voto), venivano commissionate anche a protezione della casa o a ostentazione di prestigio sociale. Ma il percorso più originale di tutti è quello che porta alla scoperta delle cataste di legna realizzate come opere d’arte. L’idea è nata dall’evoluzione di una vecchia tradizione locale. Come in tutte le località di montagna, qui in estate si “faceva legna” per riscaldare i freddi inverni casalinghi. Ma come ben sappiamo i trentini sono persone pignole: accatastare la legna era un vero e proprio lavoro di precisione, perché ogni legno e legnetto andava posizionato in un certo modo per occupare tutti gli spazi disponibili nella legnaia o negli angolini nascosti lungo i muri perimetrali delle case o sui balconcini. E magari si cercava di decorare le cataste per renderle più carine e dare un tono alla casa. Da qui l’amministrazione ha pensato in un primo tempo di premiare le più belle cataste fatte dai concittadini, poi ha indetto un vero e proprio concorso per la realizzazione di cataste artistiche da posizionare in diversi luoghi del borgo come statue. E così ora, a suon di tre per anno, sono arrivati a oltre trenta opere installate, una più bella dell’altra. Ogni angolo riserva una sorpresa: il volto in lacrime, la navesèla cioè navetta del telaio (la tessitura a telaio è antica tradizione locale), la grande pannocchia proprio sopra il pollaio, il paesaggio di legnetti che pare un intarsio, fiori giganteschi, la cornucopia, le sfere dell’immaginario, l’occhio, la chiocciola, la catena con l’ultimo anello spezzato che rappresenta la libertà, finestrelle tra i ciocchi da cui pendono pizzi e cascate di gerani, la fisarmonica in tensione che pare una stella, la clessidra chiusa tra sole e luna a segnare il trascorrere del tempo e la grande parete che ricorda l’alluvione che colpì il paese nel 1966. Un dono quello dei canzei, come si chiamano nel dialetto locale, che si rinnova e trasforma nel tempo.

Rocchetti fili colorati telaio

E a proposito della navetta del telaio, interessante è la storia di Artelèr, un laboratorio creato da Lucia Trotter e dalla madre Lina Zanon e portato avanti ora insieme alla cognata Zita e alla figlia Carmen. L’obiettivo era riportare in vita l’antica produzione artigianale della famiglia che fino all’inizio del ‘900 realizzava tessuti per la casa – soprattutto copriletti – a mano, lavorando su antichi telai lane, cotoni, sete, canape, lino, cachemere e altri filati pregiati e naturali. Tutte donne molto energiche e tenaci, visto che il lavoro a telaio è molto faticoso. E non è un caso che nel passato fosse fatto dagli uomini della famiglia. Le donne si limitavano a preparare rocchetti e fili. Ma ora sono loro che fanno tutto, sperimentando sempre nuove soluzioni e nuovi prodotti per la casa e l’abbigliamento: tovagliati, asciugamani, tappeti, tendaggi, arazzi, capi spalla, abiti da sposa, sciarpe, borse e tessuti acquistabili a metratura. Ogni capo è unico e originale, e le possibilità di nuove creazioni sono infinite. L’aspetto e la consistenza dei tessuti realizzati a mano dipende, infatti, dalle caratteristiche dei filati utilizzati per comporre ordito e trama: non solo il colore, dunque, ma anche la flessibilità e la qualità del materiale scelto, e ovviamente la fantasia.

 

 

 

Author: Carola Vai

Laureata in Lingue e Letterature straniere, giornalista e scrittrice. Ha lavorato in varie testate tra le quali: “la Gazzetta del Popolo”, “La Stampa”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Giornale” di Montanelli. Passata all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) dal 1988 al 2010, è diventata responsabile della redazione regionale Piemonte-Valle d’Aosta. Relatrice e moderatore in convegni in Italia e all’estero; Consigliere dell’Ordine Giornalisti del Piemonte fino al 2010, poi componente del consiglio di amministrazione della Casagit (Cassa Autonoma Assistenza dei Giornalisti Italiani) dove attualmente è sindaco effettivo. Tra i libri scritti “Torino alluvione 2000 – Per non dimenticare” (Alpi Editrice); “Evita – regina della comunicazione” (CDG, Roma ); “In politica se vuoi un amico comprati un cane – Gli animali dei potenti” (Daniela Piazza Editore). "Rita Levi-Montalcini. Una donna Libera" Rubbettino Editore)