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Dario Gedolaro

Quali riflessioni si possono fare sui risultati dell’ultima tornata elettorale per le europee? Innanzi tutto che non si può proprio dire che l’Europa scaldi i cuori degli italiani: alle elezioni per il Parlamento europeo ha votato meno di un avente diritto su due, e cioè il 49,69%. Si è toccato il minimo storico, con un calo di ben 6,5 punti percentuali rispetto alla già non esaltante percentuale delle precedenti elezioni (56,09%).

Giorgia Meloni

Naturalmente chi non vota non ha diritto di lamentarsi, ma il dato va preso in seria considerazione perché è un segno  di disaffezione verso un meccanismo democratico di scelta dei propri rappresentanti. I numeri assoluti dei voti lo mostrano con una certa efficacia. Nel 2009 il Popolo della Libertà dominò le Europee raccogliendo 10,8 milioni di voti. Cinque anni dopo Matteo Renzi raccolse intorno al Partito Democratico 11,2 milioni di voti . Sabato e domenica per primeggiare nettamente a Fratelli d’Italia sono bastati poco più di 6,7 milioni di voti, che sono quasi 600 mila in meno (-7.9%) rispetto a quelli raccolti alle ultime politiche, ma che si trasformano in una percentuale del 28,8% (contro il 26% di due anni fa). Fenomeno analogo per  Forza Italia, che in alleanza con Noi Moderati perde poco meno di 300 mila voti rispetto alla somma dei due partiti alle politiche del 2022, ma aumenta in percentuale, e la Lega, che ne lascia sul terreno 350 mila ma mantiene le percentuali di due anni fa. Detto questo il Centro-Destra esce rafforzato nelle percentuali e sfiora il 48%. Il “campo larghissimo” degli oppositori  (a patto che si possano mettere d’accordo) è così pareggiato e non si può più parlare di un centro destra minoritario rispetto alle opposizioni.

Anche per il Partito Democratico i voti assoluti raccontano una storia diversa da quella narrata un po’ troppo trionfalisticamente da Elly Schlein. I Dem, è vero, aumentano di circa 300 mila i voti rispetto alle politiche del 2022 (che però rappresentavano  il minimo storico del partito), e ne prendono 400 mila in meno delle precedenti Europee.  Solo Alleanza Verdi e Sinistra può cantare vittoria : gli 1,6 milioni di consensi segnano un aumento di quasi 600mila unità rispetto al 2022.  Innegabile che abbia funzionato l’effetto Ilaria Salis, non solo per i voti diretti, ma  per il faro acceso sulla formazione politica di sinistra, che ha fatto man bassa di voti giovanili anche per il suo pacifismo senza se e senza ma.

Il caso Salis fa il paio con quello del generale Roberto Vannacci, il secondo candidato più votato d’Italia, dopo Giorgia Meloni, con il ricco bottino di 550 mila preferenze. Mossa astuta di Matteo Salvini, che ha intuito il consenso che avrebbe avuto l’autore del libro “Il mondo al contrario”, a differenza  di qualche suo compagno di partito. Che Vannacci fosse in sintonia con il potenziale elettore della Lega era facile da immaginare, ma il suo successo ha mostrato l’esistenza di una fetta abbastanza significativa di Paese infastidito dall’aggressiva propaganda di certe lobby minoritarie.

Affermazione azzardata? E allora perché è scomparso o quasi dalla campagna elettorale il tema dei cosiddetti diritti civili? Se n’è guardata bene dal citarlo nelle sue comparsate televisive Elly Schlein, che pure nella sua affrettata discesa in campo per la carica di segretaria del Pd non lo aveva trascurato, tanto da sbandierare subito ai quattro venti il fatto di essere lesbica (chissenefrega, direbbe qualcuno). Ma dopo il rovescio elettorale delle politiche del 2022 (meno del 20% dei voti) qualcuno l’ha evidentemente consigliata di parlare di temi più concreti e più attinenti alla vita quotidiana della grande maggioranza degli italiani. E così dopo il soddisfacente risultato delle elezioni europee in più dichiarazioni ha affermato: “Continueremo a fare le battaglie sulla questione sociale, sulla questione salariale, sulla sanità pubblica…”.  E stop. Non solo, Elly Schlein ha anche cercato di vellicare l’elettorato cattolico candidando, ad esempio, l’ex direttore del quotidiano dei vescovi italiani, l’Avvenire, Mario Tarquinio, che nei suoi editoriali tuonò contro il disegno di legge Zan, è sempre stato critico sull’aborto, si è schierato  con le tesi pacifiste del Papa e in campagna elettorale ha prefigurato lo scioglimento della NATO. Insomma un candidato scomodo per Elly la radical chic, ma non importa, Parigi val bene un voto.

Così come ha funzionato essere andata a Canossa con i “cacicchi” del suo partito, quelli che le avevano fatto contro quando scese in campo per la segreteria, come Bonacini e Decaro. Li ha messi capilista e i due hanno preso complessivamente quasi 1 milione di preferenze, fra l’altro molte più  di lei che si è fermata a 200 mila, non una grande figura se si pensa che era il numero uno del partito e che la sua grande rivale, Giorgia Meloni, ne ha raccolte 2 milioni e 400 mila. E’ vero che la prima si è presentata in due circoscrizioni, mentre la seconda in tutte e cinque, ma la differenza resta enorme.

Gen. Roberto Vannacci

Tornando a Vannacci e alla Salis, fra le due figure c’è una profonda differenza: sul primo si sapeva tutto, che cosa aveva fatto fino ad oggi, come la pensa, quali sono i suoi giudizi sulla UE. Del “pensiero politico” della giovane maestrina accusata di “manganellamento antifascista” si sa poco o nulla, se non il fatto che è vicina, anche nei comportamenti,  a quell’area anarcoide dei centri sociali. Ma non importa, è scattato l’effetto “salviamo il soldato Ryan”, in questo caso salviamo Ilaria dalla catene ungheresi, come se fosse una moderna reincarnazione di un Silvio Pellico o di un Piero Maroncelli, i due patrioti risorgimentali rinchiusi nella fortezza austriaca dello Spielberg.

Per quanto riguarda l’astensionismo, il partito più penalizzato  è stato il M5S, che pare instradato su una parabola discendente. Basti pensare che alle politiche del 2018 aveva preso il 32,68%, che l’anno dopo alle europee aveva subito un tracollo scendendo al 17,07%, che alle politiche di due anni fa era ulteriormente calato al 15,43% e che ora ha si è fermato a un 9,96%. Il suo serbatoio principale di voti è il Sud Italia, dove però c’è stato un forte astensionismo. Chi se n’é avvantaggiato maggiormente è il PD, il cui elettorato è più sollecito ad andare alle urne, soprattutto quando pare ci sia da salvare la Patria (e in questo caso l’Europa, dai sovranismi e nazionalismi). E così il Pd è il primo partito al Sud, un’area che un tempo gli era meno favorevole e che veniva da esso accusata di votare in base a logiche clientelari o anche peggio. Non solo, il M5S ha perso la battaglia del reddito di cittadinanza, mentre il Pd è diventato il paladino della battaglia contro l’autonomia differenziata. Lo slogan” le regioni più ricche saranno sempre più ricche e quelle più povere sempre più povere”, vero o falso che sia, incute molto timore in una parte della società meridionale, che non riflette sul fatto che ad esempio la Sicilia e la Sardegna hanno  Statuti ben più autonomi dell’autonomia differenziata.

Emma Bonino

In questa sommaria analisi non può mancare una riflessione sui due campioni di autolesionismo politico: Matteo Renzi e Carlo Calenda. Hanno fatto la scelta suicida di correre separati e così non hanno raccolto nemmeno un parlamentare europeo. Renzi – secondo le sue ondivaghe scelte politiche – ha cercato di accordarsi con la non più giovane radicale Emma Bonino, un matrimonio di convenienza che evidentemente non è piaciuto né ai simpatizzanti renziani (molti provenienti dal mondo cattolico), né ai simpatizzanti radicali (gente che, politicamente parlando, ha la puzza sotto il naso). Calenda non ha frenato il suo egocentrismo che lo fa ritenere in grado, da solo, di rovesciare il quadro politico italiano. Anzi, subito dopo la batosta, invece di riflettere sul disastro causato dal litigio, ha rimarcato: “Mai con Renzi”.

Author: Pier Carlo Sommo

Torinese, Laureato in Giurisprudenza, Master in comunicazione pubblica e Giornalista professionista. Dal 1978 si occupa di comunicazione e informazione nella pubblica amministrazione. Ha iniziato la carriera professionale presso la Confindustria Piemonte. Dopo un periodo presso l'Ufficio Studi e Legislativo della Presidenza della Regione Piemonte nel 1986 è diventato Vice Capo di Gabinetto e Responsabile Relazioni Esterne della Provincia di Torino Dal 1999 al 2020 è stato Direttore delle Relazioni Esterne e Capo Ufficio Stampa dell'ASL Città di Torino. Autore di saggi, articoli e ricerche, ha pubblicato numerosi volumi e opuscoli dedicati alla comunicazione culturale - turistica del territorio. È docente in corsi e seminari sui problemi della comunicazione e informazione presso le società di formazione pubbliche e private . Professore a contratto di Comunicazione Pubblica presso l'Università di Torino e Università Cattolica. embro del Direttivo del Club di Comunicazione d'Impresa dell’Unione Industriale di Torino, dal 2005 al 2008 è stato Vice Presidente. Presidente del Comitato scientifico di OCIP Confindustria Piemonte Membro del Comitato Promotore dell' Associazione PA Social, È stato Segretario Generale Nazionale dell'Associazione Comunicazione Pubblica e Istituzionale dal 2013 al 2020.