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Dario Gedolaro

“L’America capirebbe meglio cosa provano i russi riguardo all’Ucraina, se si chiedesse come reagirebbe se, diciamo fra dieci anni, la Cina si alleasse col Messico e costruisse una base a un centinaio di chilometri a Sud del Rio Grande”. Lo ha scritto pochi giorni fa l’autorevole Ispi, l’ Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, per spiegare la reazione di Putin all’ ipotesi di un ingresso dell’ Ucraina nella Nato.
Bisogna partire da qui, nel momento più grave della crisi fra i due paesi, per cercare di comprendere come si è giunti alla guerra, senza lasciarsi condizionare dall’ emotività che ci porta sicuramente a parteggiare senza sì e se ma per gli aggrediti, cioè gli ucraini.

Cartina dell’ Ucraina, in giallo i territori disputati

Dice ancora l’ Ispi: “Sulla questione Ucraina sembra che Stati Uniti e Russia non siano più capaci di comprendere l’uno le ragioni dell’altro” e aggiunge: “Mettersi nei panni dell’altro sarebbe l’esercizio più utile al mondo se non fosse così difficile da praticare fra entità ostili”.

L’Ucraina appartiene a quei casi politici dalla collocazione geografica complicata, e lo stesso discorso vale per la Finlandia, che nel dopoguerra ha salvato la propria indipendenza dalle mire dell’Unione Sovietica con una politica di rigida neutralità ed equidistanza tra i due blocchi, senza rinunciare ad essere una vera democrazia parlamentare.

Il presidente francese Emmanuel Macron aveva adombrato l’ ipotesi di una cosiddetta “finlandizzazione” dell’ Ucraina nei giorni scorsi, quando tentava ancora di evitare la guerra. Ma non sembra essere stato così convincente né con i russi, né con gli americani, che infatti non hanno fatto nessuna “apertura”, ribadendo più volte il loro incondizionato appoggio alle rivendicazioni territoriali dell’ Ucraina e condannando l’ occupazione russa della Crimea e il sostegno alle repubbliche separatiste del Donbass.

Purtroppo, se da un lato c’ è un autocrate, Putin, nostalgico della Grande Russia degli zar, dall’ altro c’ è una nazione, gli Stati Uniti, che in politica estera quasi mai hanno mostrato grande capacità di analisi e quindi di scelte ponderate. Basterebbe ricordare i casi dell’Afganistan, dell’Iraq, della Siria, per non parlare del Sud e Centro America. Unica eccezione il segretario di Stato, Henry Kissinger, che infatti nel 2014 in un articolo pubblicato sul Washington Post scriveva: “Troppo spesso la questione ucraina viene presentata come una resa dei conti: se l’Ucraina si unisce all’Est o all’Ovest. Ma se l’Ucraina vuole sopravvivere e prosperare, non deve essere l’avamposto di nessuna delle due parti contro l’altra: dovrebbe fungere da ponte tra di loro”. E ancora: “L’Occidente deve capire che, per la Russia, l’Ucraina non potrà mai essere solo un paese straniero. La storia russa iniziò in quella che fu chiamata Kievan-Rus… Anche famosi dissidenti come Aleksandr Solzhenitsyn e Joseph Brodsky hanno insistito sul fatto che l’Ucraina fosse parte integrante della storia russa e, in effetti, della Russia”.

Stemma dell’Ucraina

Kissinger poi ricordava le complessità dell’Ucraina: “L’ovest è in gran parte cattolico; l’est in gran parte russo-ortodosso. L’occidente parla ucraino; l’est parla principalmente russo”. Poi concludeva con parole che appaiono profetiche: “L’obiettivo di un accordo non è la soddisfazione assoluta, ma l’insoddisfazione equilibrata”, e se non la si ottiene “la deriva verso il conflitto accelererà, e di questo passo accadrà abbastanza presto”.

Partendo da queste considerazioni, si capisce meglio perché Putin si è infilato in un’avventura molto rischiosa. Quello di Putin – ha detto in un’intervista televisiva Gastone Breccia, docente di Storia Bizantina all’ Università di Pavia e studioso di guerre e guerriglie – è un “azzardo” molto pericoloso, perché rischia di vedersi impanato in una guerra guerreggiata prolungata, un po’ come successe per l’Urss in Afghanistan. “L’ Ucraina – ha spiegato Breccia– ha una lunga frontiera con i paesi Nato, impossibile da sigillare. Da essa possono arrivare sostanziosi aiuti per alimentare la resistenza. Né la Russia ha un’economia così forte da sostenere un lungo conflitto e Putin alla lunga potrebbe perdere il sostegno del suo Paese, fiaccato dalle sanzioni”.

Ma in questo guazzabuglio l’Unione Europea che fa, visto fra l’altro che il conto più salato delle pesanti sanzioni punitive annunciate contro la Russia lo pagherà lei?  Nulla di autonomo o significativo, si è allineata totalmente agli Stati Uniti. Possibile che in questi anni non potesse cercare una sua via d’ uscita dalla crisi Ucraino-Russa, proponendo soluzioni di compromesso da “insoddisfazione equilibrata”?

Mai come adesso ci sarebbe voluta una vera entità politica europea, con un suo vero ministro degli esteri, non solo un’associazione di Stati tenuti insieme da interessi economici comuni.

 

Author: Carola Vai

Laureata in Lingue e Letterature straniere, giornalista e scrittrice. Ha lavorato in varie testate tra le quali: “la Gazzetta del Popolo”, “La Stampa”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Giornale” di Montanelli. Passata all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) dal 1988 al 2010, è diventata responsabile della redazione regionale Piemonte-Valle d’Aosta. Relatrice e moderatore in convegni in Italia e all’estero; Consigliere dell’Ordine Giornalisti del Piemonte fino al 2010, poi componente del consiglio di amministrazione della Casagit (Cassa Autonoma Assistenza dei Giornalisti Italiani) dove attualmente è sindaco effettivo. Tra i libri scritti “Torino alluvione 2000 – Per non dimenticare” (Alpi Editrice); “Evita – regina della comunicazione” (CDG, Roma ); “In politica se vuoi un amico comprati un cane – Gli animali dei potenti” (Daniela Piazza Editore). "Rita Levi-Montalcini. Una donna Libera" Rubbettino Editore)