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Paolo Girola

C’è un proverbio indiano che dice “Tutto ciò che non è donatoè perduto”. Mi è tornato in mente in questi tristi giorni, come una luce nel buio di troppe cose andate storte, polemiche politiche, virologi incerti per certezze scientifiche spesso superate da  intuizioni empiriche che loro non sapevano spiegare ( …e quindi cure ritardate) ,  imprevidenza, troppa sicurezza andata presto in fumo,  poca saggezza e buon senso. Tutto un “male” che rifiuto  di credere  prevarrà e spero che ci insegni qualcosa. Troppo il bene fatto da molti che si sono “donati” con abnegazione.

Mi lascia perplesso la caccia alle streghe, e la sensazione che siano ancora una volta  solo” gli stracci ad andare per aria “. Il luogo comune sono diventate le RSA, al centro di una moderna caccia all’untore alimentata da troppa informazione superficiale e scontata. Non credo alla giustizia che cede alla piazza di parenti  urlanti , anche giustamente affranti (…spero  tutti sinceramente affranti). Non cerchiamo un colpevole  a qualunque costo,  da portare in tribunale , naturalmente, e buttargli addosso gli errori di tutti gli altri. Errori ce ne sono stati, ma non tutti gli errori sono reati.

Dispositivi di protezione individuale- INAIL

Cerco di riassumere quanto, secondo me,  una informazione meno superficiale e sensazionalistica dovrebbe  invece raccontare.  In ambito sanitario tanti sono rimasti inizialmente intontiti dallo “tsunami” che gli è piombato addosso, quando  non c’erano le mascherine, i guanti di lattice , i camici usa e getta e non c’erano i reagenti e i tamponi per distinguere i positivi dai negativi . Si è capito perfettamente come , quel poco che c’era, è stato dato solo agli ospedali.  Medici di famiglia e RSA escluse . In queste strutture in Piemonte , come mi pare anche altrove, sono scarseggiati subito i dispositivi di sicurezza ( di difficile reperimento sul mercato anche internazionale),  non sono stati fatti dalle ASL ( le uniche ad averne competenza) gli esami richiesti ( I famosi tamponi)  per distinguere chi era positivo e chi no. Si è iniziato a farli 40 giorni dopo l’inizio della epidemia. E oggi ancora solo  al 50% degli ospiti o del personale sanitario. Difficile se non impossibile separare i sani dai malati asintomatici. Ai medici di famiglia non sono state date inizialmente, oltre ai DPI,  direttive chiare su come trattare i malati a casa o nelle RSA ( dove gli ospiti sono curati dai medici di famiglia) . Così si è dilatato il numero di ricoveri in ospedale, di cui una parte è finita nelle terapie d’urgenza .Molti di quelli con patologie pregresse sono morti. Né si sono potuti trasportare  subito dalle RSA negli ospedali i casi sintomatici sospetti , pur segnalati. Gli ospedali erano intasati. Troppa informazione finisce per non considerare le carenze di  ASL e servizio pubblico, quasi come se i responsabili della RSA volessero liberarsi di fastidiosi ospiti vecchi e malati . Basta una semplice e bieca considerazione per capire l’assurdità di tale accusa: tutti gli ospiti pagano le rette… finchè sono in vita.

Ora tutti dicono che bisogna tornare a una sanità di territorio. Condivido. Ma che cosa significa? Provo a dire che cosa penso io. Significa non chiudere piccoli presidi sanitari , tenere medici, infermieri e OSS anche negli ambulatori dei consorzi di paesi. Significa che il personale sanitario deve tornare a visitare anche a domicilio. Io ricordo i “ medici condotti” che andavano di casa in  casa tutto il giorno. Oggi spesso , troppo spesso, anche con la febbre ti devi recare negli ambulatori dei medici:  con una grave conseguenza che potrebbe essere una delle concause iniziali del contagio, che un malato viene a contatto nelle sale di attesa con molte altre persone. I medici devono tornare a visitare a domicilio, naturalmente adeguatamente riforniti di strumenti di protezione (che dovranno usare sempre anche nei loro studi).

Non voglio scatenare una polemica,  ma è noto che taluni abbandonano il lavoro di medico ospedaliero, perché si guadagna lo stesso  (o forse di più) facendo il “medico della mutua”, con orari meno impegnativi: anche solo 15 ore di studio alla settimana. Insomma , riconosciuto il valore di tanti medici di famiglia, non bisogna  tacere le criticità di un sistema che finisce per trasformarli , troppo spesso, in scrittori di ricette a richiesta. Questa è anche una delle cause dell’affollamento dei pronto soccorso. Ne è una dimostrazione che siano stati svuotati dalla pandemia (per i casi non COVID).

Non facciamo che , ancora una volta,  tutto in Italia torni come prima, nelle spire della burocrazia,  che alla fine fa anche comodo a tanti.

 

Author: Pier Carlo Sommo

Torinese, Laureato in Giurisprudenza, Master in comunicazione pubblica e Giornalista professionista. Dal 1978 si occupa di comunicazione e informazione nella pubblica amministrazione. Ha iniziato la carriera professionale presso la Confindustria Piemonte. Dopo un periodo presso l'Ufficio Studi e Legislativo della Presidenza della Regione Piemonte nel 1986 è diventato Vice Capo di Gabinetto e Responsabile Relazioni Esterne della Provincia di Torino Dal 1999 al 2020 è stato Direttore delle Relazioni Esterne e Capo Ufficio Stampa dell'ASL Città di Torino. Autore di saggi, articoli e ricerche, ha pubblicato numerosi volumi e opuscoli dedicati alla comunicazione culturale - turistica del territorio. È docente in corsi e seminari sui problemi della comunicazione e informazione presso le società di formazione pubbliche e private . Professore a contratto di Comunicazione Pubblica presso l'Università di Torino e Università Cattolica. embro del Direttivo del Club di Comunicazione d'Impresa dell’Unione Industriale di Torino, dal 2005 al 2008 è stato Vice Presidente. Presidente del Comitato scientifico di OCIP Confindustria Piemonte Membro del Comitato Promotore dell' Associazione PA Social, È stato Segretario Generale Nazionale dell'Associazione Comunicazione Pubblica e Istituzionale dal 2013 al 2020.